Il Risiko della sovranità fiscale: Da San Marino all’America


L’accordo raggiunto al recente vertice del G7 rischia di ridisegnare radicalmente l’architettura della tassazione globale delle multinazionali, mettendo in discussione i principi della Global Minimum Tax siglati nel 2021. L’intesa originaria, promossa dall’OCSE, puntava a contrastare l’elusione fiscale imponendo un’aliquota minima del 15% sui profitti realizzati dalle multinazionali in ogni giurisdizione in cui operano, evitando così la corsa al ribasso verso i paradisi fiscali.

A rompere gli equilibri è stato Donald Trump, che ha promosso una proposta legislativa denominata “One Big Beautiful Bill Act”, contenente una misura controversa: la cosiddetta “revenge tax”. Si tratta di un aumento delle imposte sui redditi generati da asset detenuti negli Stati Uniti da soggetti — individui o imprese — provenienti da Paesi che applicano la Global Minimum Tax. Una mossa interpretata come una chiara ritorsione contro gli Stati favorevoli alla riforma fiscale globale.

Per evitare frizioni con Washington e potenziali danni alle proprie imprese, i Paesi del G7 hanno quindi deciso di esonerare le multinazionali statunitensi dall’applicazione della tassa minima. Una scelta che, secondo la presidenza canadese del G7, rappresenta “una soluzione parallela” e “un passo avanti verso la stabilizzazione del sistema fiscale internazionale”, favorendo un dialogo costruttivo sulla fiscalità dell’economia digitale e il rispetto della sovranità fiscale di ciascun Paese.

Anche l’Italia ha aderito all’intesa. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha parlato di un “compromesso onorevole”, sottolineando come la principale preoccupazione fosse evitare che la “revenge tax” potesse colpire non solo le grandi multinazionali, ma anche le aziende europee con interessi negli Stati Uniti.

Tuttavia, dietro questa apparente vittoria diplomatica si cela un pericolo più profondo. L’accordo del G7 dimostra quanto il multilateralismo fiscale sia fragile e soggetto a pressioni politiche. Se ogni grande economia iniziasse a riscrivere le regole secondo i propri interessi, l’intero impianto della cooperazione internazionale sulla fiscalità potrebbe crollare.

Il compromesso raggiunto ha sì evitato per ora ritorsioni fiscali contro le imprese italiane operanti negli USA, ma ha anche generato una frattura nel già delicato consenso globale sulla tassazione equa e armonizzata.

Parallelamente, un altro importante accordo è stato firmato dopo quasi un decennio di trattative: San Marino ha siglato un’intesa con l’Unione Europea per una “adesione funzionale” al mercato unico. L’obiettivo non è l’ingresso formale del piccolo Stato tra i membri dell’UE, bensì l’integrazione nei meccanismi comunitari attraverso l’adozione delle quattro libertà fondamentali: circolazione di merci, persone, servizi e capitali.

L’intesa punta a rendere San Marino un partner più trasparente e moderno, riabilitandone l’immagine sul piano internazionale. Secondo il Segretario di Stato agli Affari Esteri di San Marino, Luca Beccari, per l’Italia si apre “un’opportunità unica per costruire nuove sinergie imprenditoriali con un Paese che ora può essere considerato integrato nel contesto europeo”.

In questa direzione, sarebbe opportuno promuovere la definizione di direttive condivise, ispirate al modello normativo dell’Unione Europea, che favoriscano una maggiore stabilità nei rapporti economici e fiscali. L’obiettivo dovrebbe essere quello di rendere la collaborazione con realtà statuali come San Marino non solo più semplice e trasparente, ma anche strategicamente vantaggiosa per tutti gli attori coinvolti. Un approccio coordinato potrebbe trasformare queste intese bilaterali in vere opportunità di crescita comune, rafforzando la coesione economica e giuridica tra Paesi connessi, ma finora considerati “ai margini” delle grandi dinamiche europee.





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