Per la Consulta l’assegno minimo va garantito a tutti gli invalidi


Una svolta per i lavoratori invalidi, l’assegno ordinario d’invalidità dovrà essere integrato al minimo, anche se calcolato interamente con il sistema contributivo: lo ha stabilito la Consulta in una recente decisione.


La Corte costituzionale, con la sentenza n. 94/2025 ha dichiarato parzialmente illegittimo l’articolo 1, comma 16, della legge n. 335 del 1995 (nota come Riforma Dini), accogliendo un’eccezione sollevata dalla sezione lavoro della Cassazione.

Secondo i giudici, escludere l’assegno ordinario d’invalidità dalle misure di integrazione al minimo, solo perché determinato con il metodo contributivo, viola i principi costituzionali di uguaglianza e tutela sociale, sanciti dagli articoli 3 e 38 della Costituzione.

Un trattamento che merita tutela

L’assegno ordinario d’invalidità è un sostegno rivolto a chi, a causa di una menomazione fisica o mentale, non riesce più a svolgere un’attività lavorativa adeguata alle proprie competenze per oltre due terzi. Introdotto nel 1984, ha sempre goduto di un regime più favorevole rispetto alle normali pensioni, proprio in virtù della fragilità del beneficiario.

Anche il meccanismo con cui veniva integrato al minimo era diverso da quello degli altri trattamenti pensionistici. Invece di essere equiparato automaticamente al minimo INPS, si prevedeva un’integrazione pari all’ammontare dell’assegno sociale, a carico del fondo sociale – oggi confluito nella Gestione degli interventi assistenziali (GIAS). Questo contributo, finanziato dalla fiscalità generale, non gravava dunque sul sistema previdenziale tradizionale.

La critica alla riforma del ’95

La Riforma Dini aveva escluso l’integrazione al minimo per tutte le pensioni calcolate esclusivamente col sistema contributivo. Tuttavia, secondo la Corte, tale esclusione non può essere applicata indiscriminatamente anche agli assegni d’invalidità. Infatti, mentre la riforma puntava a garantire l’equilibrio economico del sistema pensionistico, il sostegno aggiuntivo all’invalidità non pesava su quel bilancio, essendo coperto da fondi statali.

Inoltre, l’assegno ordinario d’invalidità può essere richiesto ben prima dell’età pensionabile, oggi fissata a 67 anni per accedere all’assegno sociale. Chi percepisce una somma molto bassa, e non ha diritto ad altre forme di assistenza – come l’invalidità civile o l’assegno di inclusione – rischia di rimanere per anni senza un sostegno adeguato, pur trovandosi in una condizione di forte vulnerabilità.

Una pronuncia con effetti differiti

La Consulta ha voluto anche evitare ricadute immediate sui conti pubblici. Una pronuncia con effetti retroattivi avrebbe comportato il pagamento di arretrati per un numero imprecisato di beneficiari, con un impatto economico significativo. Per questa ragione, i giudici hanno stabilito che gli effetti della sentenza decorreranno solo dal giorno successivo alla sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.

L’importanza della decisione

Con questa pronuncia, la Corte sottolinea la specificità dell’assegno ordinario d’invalidità rispetto alle altre prestazioni previdenziali. Si tratta, infatti, di uno strumento pensato per fronteggiare una perdita parziale ma significativa della capacità lavorativa, che impedisce al cittadino di maturare un’adeguata pensione di vecchiaia. Equipararlo alle altre pensioni puramente contributive – escluse dall’integrazione al minimo – ne svilisce la funzione e priva di tutele chi, più di altri, avrebbe diritto a un intervento pubblico.

Una sentenza che segna un punto fermo nella protezione dei lavoratori disabili e pone un limite alle logiche esclusivamente contabili nella gestione della previdenza.

Consulta: assegno minimo va garantito a tutti gli invalidi. Il testo della sentenza

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