Articolo: Anche nel Lazio la verifica dell’incremento occupazionale netto per le assunzioni del decreto coesione


approfondimento di Eufranio Massi per il n. 153 della rivista “Il Mondo del consulente”.

  

 

ANCHE NEL LAZIO LA VERIFICA DELL’INCREMENTO OCCUPAZIONALE NETTO PER LE ASSUNZIONI DEL DECRETO COESIONE

Tutto si può dire in merito agli incentivi previsti dal D.L. n. 60/2024 finalizzati alla creazione di nuova occupazione stabile, meno che siano nati sotto una buona stella. Ne sono la palese testimonianza  la lunga interlocuzione con gli organismi comunitari (ben oltre la data iniziale del 1° settembre 2024 fissata dal nostro Legislatore), i raccordi, spesso difficoltosi tra i D.M. attuativi e le note esplicative dell’INPS, e il comportamento di aziende e professionisti che, ricordando precedenti esperienze, hanno effettuato le assunzioni prima della emanazione dei provvedimenti amministrativi che, pure erano richiesti dalla norma. A ciò va aggiunto che altri benefici validi, salvo proroghe, fino al prossimo 31 dicembre, non sono ancora operativi: mi riferisco allo sgravio contributivo in favore dei datori di lavoro, in area ZES, con un organico dimensionato fino a 10 dipendenti che assumono disoccupati “over 35” da almeno 24 mesi (art. 24) o agli incentivi all’autoimpiego nei settori strategici per lo sviluppo di nuove tecnologie e la transizione digitale ed ecologica.

Fatta questa breve premessa entro nel merito della questione.

Si riteneva, nella sostanza, assodato che le assunzioni e  le trasformazioni di “under 35” (mai assunti a tempo indeterminato), portatrici di sgravi contributivi entro il tetto dei 500 euro su base mensile, riferite al 100% dei contributi dovuti dal datore di lavoro (con l’eccezione dei premi e dei contributi assicurativi INAIL e della c.d. “contribuzione minore”) non dovessero essere interessate dal rispetto del requisito dell’incremento occupazionale netto  in quanto nella disposizione di legge non si rilevava alcun obbligo in tal senso, ma il messaggio INPS n. 1935 del 18 giugno 2025, ha fatto venir meno la convinzione, prevedendone l’obbligo a partire dal successivo 1° luglio. Di conseguenza, le novità trovano applicazione in tutto il centro nord, ivi compresa la Regione Lazio.

Il messaggio fornisce la spiegazione riferendo tale cambio di rotta ad un “input” ministeriale, a seguito di interlocuzione con la Commissione Europea. Si è preso atto della volontà di tale organismo di estendere anche alle imprese titolari dello sgravio contributivo previsto dal comma 1 dell’art. 22 (finanziato anche con fondi comunitari), la necessità del rispetto dell’incremento occupazionale netto.

Tale nota, giunta, in larga parte inaspettata, ha generato un po’ di sconcerto tra gli operatori e anche presso i datori di lavoro i quali dovranno formulare i piani di assunzione della seconda parte del 2025 sulla scorta di tale nuovo requisito obbligatorio, che diviene una condizione essenziale.

Il messaggio INPS n. 1935 richiama l’attenzione degli interessati sulla dichiarazione di responsabilità inserita, da ultimo, nel modello di presentazione della domanda “on line”, ove il datore dovrà affermare di sapere che per le assunzioni e le trasformazioni di contratto avvenute dal 1° luglio 2025, l’ammissione allo sgravio contributivo è subordinata anche alla realizzazione di un incremento occupazionale netto rispetto alla determinazione di quello risultante, come media, dal computo dei dodici mesi antecedenti l’assunzione o la trasformazione. Nella sostanza, per l’incentivo previsto al comma 1 dell’art. 22 del D.L. n. 60/2024 si avrà questa situazione:

  1. Per le assunzioni e le trasformazioni avvenute tra il 1° settembre 2024 ed il 30 giugno 2025, l’incremento occupazionale netto non è richiesto;
  2. Per le assunzioni e le trasformazioni avvenute tra il 1° luglio 2025 ed il 31 dicembre 2025 (giorno ultimo di vigenza per le assunzioni che fruiscono dello sgravio contributivo) occorrerà che le stesse siano incrementali rispetto all’organico medio dei dodici mesi antecedenti.

Il caso prospettato dal messaggio INPS n. 1935/2025 è il medesimo che si presenta nelle assunzioni o trasformazioni in area “ZES” previste dall’art. 22, comma 3, del D.L. n. 60/2023 ed autorizzate, lo scorso 31 gennaio, dalla Commissione Europea, ai sensi dell’art. 108 del Trattato dell’Unione e in quelle che riguardano le assunzioni di donne svantaggiate e molto svantaggiate, come previsto dal comma 3 dell’art. 23.

L’incremento occupazionale netto (previsto dal Regolamento UE n. 1407/2013) è, peraltro, un requisito già presente nel nostro ordinamento come ben sanno coloro che hanno fruito dello sgravio contributivo strutturale per l’assunzione di donne, previsto dai commi dai 8 a 11 dell’art. 4 della legge n. 92/2012.

Ma, come deve essere calcolato l’incremento occupazionale?

La circolare INPS n. 91/2015, ricalcando quanto affermato dalla circolare n. 90, afferma che l’incremento va calcolato sulla base della differenza tra i lavoratori occupati in ciascun mese nel quale si “gode” lo sgravio contributivo ed il numero medio dei dipendenti in forza nei dodici mesi che hanno preceduto la nuova assunzione.

Tale principio riprende quanto elaborato sin dal 2009 dalla Corte di Giustizia Europea la quale, con la sentenza n. C-415/07, stabilì che nella valutazione dell’incremento “si deve porre a raffronto il numero medio di Unità di Lavoro Annuo (U.L.A.) dell’anno precedente all’assunzione con il numero medio di U.L.A. dell’anno successivo all’assunzione”.

Per i lavoratori con contratto a tempo parziale, il calcolo va “pesato” in rapporto tra le ore pattuite e le ore che costituiscono il normale orario dei dipendenti a tempo pieno (è, nella sostanza, il computo “pro quota”” previsto anche dall’art. 9 del D.L.vo n. 81/2015). Per il lavoro intermittente il computo tiene conto anche della previsione contenuta nell’art. 18 del D.L.vo n. 81/2015, mentre, in caso di contratto a tempo determinato in sostituzione di lavoratore assente, il computo riguarda, unicamente, il dipendente sostituito. Dal computo generale sono escluse soltanto le prestazioni di lavoro occasionale disciplinate dall’art. 54-bis del D.L. n. 50/2017.

L’art. 2 del Regolamento n. 1407/2013, dispone, inoltre, che i posti di lavoro soppressi in tale periodo debbono essere dedotti (si pensi, ad esempio, alla perdita di un appalto, alla chiusura di reparti, o alla esternalizzazione di attività prima gestite all’interno) e che il numero dei lavoratori occupati a tempo pieno, a tempo parziale o stagionale va computato considerando le frazioni di unità lavoro-anno”.

Nel caso in cui ci si trovi di fronte ad aziende correlate o collegate tra loro in modo tale da rientrare nel concetto di “impresa unica”, il calcolo va effettuato su tutte le aziende secondo criteri presenti, oggi, anche nel Regolamento sul “de minimis” n. 2831/2023.

Tale concetto viene fatto proprio dal comma 3 dell’art. 23 del D.L. n. 60/2025 che richiama sia l’impresa che, per interposta persona, fa capo allo stesso soggetto, che la previsione dell’art. 2359 c.c. la quale ultima si verifica:

  1. Quando un’impresa detiene la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di un’altra impresa;
  2. Quando un’impresa ha diritto di nominare o revocare la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, direzione o sorveglianza di un’altra impresa;
  3. Quando un’impresa ha il diritto di esercitare un’influenza dominante su un’altra impresa in virtù di un contratto concluso con quest’ultima o in virtù di una clausola dello statuto di quest’ultima;
  4. Quando un’impresa azionista o socia di un’altra impresa controlla da sola, in virtù di un accordo stipulato con azionisti o soci dell’altra impresa, la maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o soci di quest’ultima.

La circolare n. 91, che fornisce le indicazioni operative per le assunzioni di donne svantaggiate e molto svantaggiate, sottolinea un passaggio inserito nel comma 3 dell’art. 23, ove si afferma che l’incremento occupazionale è considerato “al netto delle diminuzioni del numero degli occupati verificatesi in società controllate o collegate”: ciò significa che, ai fini del calcolo della forza aziendale, vanno escluse le “diminuzioni” registrate, nello stesso periodo, nelle società collegate e controllate.  La stessa circolare   deduce, da quanto sopra, che i datori di lavoro possono beneficiare, ai fini del computo, degli aumenti della forza aziendale verificatisi in altre società del gruppo.

Sul punto, il Ministero del Lavoro con la  circolare n. 34/2014  chiarì che sul datore di lavoro incombe l’onere di verificare la forza presente in ognuno dei mesi successivi e non fare una valutazione sull’occupazione “stimata”: ciò significa che il beneficio non viene riconosciuto per i mesi in cui tale incremento non si è realizzato, con la conseguenza che il datore sarà tenuto a restituire, mediante le procedure di regolarizzazione, il beneficio già fruito, per i mesi in cui è andato “sotto” la media dei dipendenti occupati nei 12 mesi antecedenti, o non risulta averla incrementata.

L’agevolazione, comunque, viene riconosciuta pur se l’incremento non si è realizzato perché nel periodo sotto osservazione si sono resi vacanti posti di lavoro per:

  • Dimissioni volontarie che oggi, a mio avviso, comprendono anche le dimissioni per fatti concludenti di cui all’art. 19 della legge n. 203/2024. La norma non parla delle risoluzioni consensuali per le quali la procedura telematica per la effettiva validità è la stessa prevista dal D.M. attuativo dell’art. 26 del D.L.vo n. 151/2015 per le dimissioni volontarie, fatto salvo il caso che siano rese avanti alla commissione provinciale di conciliazione istituita presso ogni Ispettorato territoriale del Lavoro, a conclusione della procedura obbligatoria prevista dall’art. 7 della legge n. 604/1966;
  • Invalidità;
  • Pensionamento per raggiunti limiti di età, dizione che dovrebbe comprendere anche forme di pensionamento anticipato (quota 103, opzione donna, ape sociale, ecc.) previste dall’ordinamento al raggiungimento di una certa età ed un certo numero di versamenti contributivi;
  • Riduzione volontaria dell’orario di lavoro realizzabile attraverso accordi di trasformazione dei rapporti da tempo pieno a tempo parziale, come previsto dall’art. 8 del D.L.vo n. 81/2015;
  • Licenziamento per giusta causa.

I lavoratori licenziati per giustificato motivo oggettivi e quelli a seguito di procedura collettiva di riduzione di personale nel rispetto delle previsioni contenute nella legge n. 223/1991, ai fini della fruizione del beneficio, vanno rimpiazzati. Dalla casistica generale la circolare n. 90 esclude quelli per inabilità al lavoro (art. 42 del D.L.vo n. 81/2008) e per superamento del periodo di comporto (art. 2110 c.c.) che, seppur catalogabili, sia pure con qualche perplessità, almeno per quello che è motivato dal superamento del periodo di comporto, all’interno del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, hanno la propria ragion d’essere in altre cause specifiche.

Nei contratti di somministrazione ove il beneficio viene girato dall’Agenzia all’azienda utilizzatrice del lavoratore somministrato, la valutazione dell’incremento occupazionale netto, va effettuata in capo a quest’ultima, come ben specificato dal Ministero del Lavoro con la risposta all’interpello n. 3/2018.

 

Eufranio MASSI



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link