Il passaggio dal Green Deal al Clean Industrial Deal non equivale a una rinuncia agli obiettivi climatici dell’Unione Europea, quanto piuttosto a una ricalibrazione delle politiche industriali in risposta a un contesto economico e geopolitico in rapida evoluzione. Una panoramica del nuovo Patto: dai prezzi dell’energia al ritorno di gas e nucleare, dalla conferma di rinnovabili ed elettrificazione alla necessità di stimolare investimenti pubblici e privati
Bruxelles non è nuova a cambiamenti di policy, ma la transizione tra la precedente legislatura e quella attuale sembra andare ben oltre una normale evoluzione normativa.
Durante il mandato precedente, il Green Deal europeo ha rappresentato la stella polare della Commissione, trasformando in profondità gran parte dell’acquis in materia di energia e ambiente dell’Ue, con l’obiettivo di condurre il continente verso la neutralità climatica entro il 2050. Questo impegno, che è aumentato a causa di eventi geopolitici come l’invasione russa dell’Ucraina tramite la strategia REPowerEU, ha comportato riforme di ampia portata in settori che spaziano dall’efficienza energetica e alle energie rinnovabili, passando per i trasporti, arrivando fino all’industria pesante e alla nascente economia dell’idrogeno. Mese dopo mese, si sono susseguiti confronti trasversali tra gruppi politici, Stati membri e istituzioni per definire obiettivi giuridicamente vincolanti e attuare gli strumenti necessari al loro conseguimento.
Non un’inversione di rotta, ma un giusto atto di riequilibrio
Eppure, a meno di un anno di distanza, una nuova visione di policy ha profondamente modificato il dibattito pubblico europeo. Il susseguirsi di eventi straordinari – prima la crisi da Covid-19, poi l’aggressione russa all’Ucraina – ha riorientato l’attenzione sulla perdita di competitività industriale dell’Ue e sulle gravi ripercussioni per i consumatori. Questa nuova prospettiva, cristallizzata nella Dichiarazione di Anversa e sostenuta da oltre 1.300 imprese attive in 25 settori industriali, riflette un cambiamento potenzialmente significativo. L’appello è stato chiaro: l’Europa deve sostenere le proprie industrie altrimenti rischia un’accelerazione del processo di deindustrializzazione.
Di fronte a questo scenario, la Commissione Europea ha modificato il proprio approccio, integrando il Green Deal con quello che oggi viene definito Clean Industrial Deal (Cid). Il termine “clean” vuole garantire continuità con le ambizioni ambientali precedenti, ma la priorità si è spostata in modo evidente verso la competitività e la resilienza industriale. Tecnologie che timidamente avevano fatto il loro ritorno sulla scena delle policy ritrovano ora un ruolo centrale, mentre obiettivi precedentemente considerati politicamente intoccabili sono diventati oggetto di revisione, o quantomeno di discussione.
Pubblicato nel febbraio 2025, il Clean Industrial Deal rappresenta uno strumento di visione strategica ampio, volto ad affrontare le sfide urgenti dell’industria europea. Articolato su sei pilastri fondamentali — energia accessibile, lead markets, investimenti pubblici e privati, economia circolare, mercati globali e commercio, competenze e forza lavoro — costituisce un tentativo ambizioso e strutturato di ridefinire il percorso industriale europeo in un’epoca di incertezza.
Sebbene di ampio respiro, non va in realtà interpretato come una rottura netta con il Green Deal, bensì come una ricalibrazione mirata a bilanciare l’imperativo di lungo termine della decarbonizzazione con le esigenze più immediate di salvaguardia della competitività industriale.
Piano d’azione per prezzi dell’energia accessibili
L’Unione europea continua a registrare prezzi energetici elevati, ancora pari al doppio rispetto ai livelli precrisi, con industrie che pagano l’energia da due a tre volte in più rispetto ai concorrenti statunitensi e cinesi. Per rispondere alle preoccupazioni degli attori industriali riguardo le pressioni sui costi derivanti dall’elevata esposizione ai mercati volatili e al processo di transizione energetica, il Clean Industrial Deal dedica un piano d’azione specifico all’energia accessibile.
Nonostante le richieste dell’industria per un intervento più incisivo sui mercati da parte dell’Ue, nel Piano d’Azione, la Commissione ha scelto di non rivedere ulteriormente il disegno del mercato elettrico (Emd), già oggetto di riforma nel 2024. In questo modo, sono state evitate misure come la reintroduzione di un tetto al prezzo del gas (già sperimentato con il regolamento d’emergenza Mcm) e la modifica del merit order nella formazione dei prezzi. La Commissione ha invece ribadito la propria fiducia negli strumenti recentemente adottati, in particolare l’espansione dei Power purchase agreements (Ppa) e l’implementazione dei Contracts for Difference (CfD). Secondo l’esecutivo europeo, una volta pienamente operativi, tali strumenti garantiranno stabilità dei prezzi e riduzione dei costi, pur riconoscendo che potranno rendersi necessari ulteriori aggiustamenti in funzione dell’evoluzione del mercato.
Ritorni inattesi: gas naturale ed energia nucleare
Uno degli aspetti più significativi del Clean Industrial Deal è la rivalutazione di fonti energetiche precedentemente marginalizzate. Il gas naturale, la cui eliminazione era prevista nel più breve tempo possibile, è oggi oggetto di riconsiderazione. Pur rimanendo l’obiettivo della sua graduale riduzione, la Commissione sta attivamente esplorando la stipula di nuovi contratti di fornitura attraverso la diplomazia energetica. Ancora più rilevante è il cambio di orientamento sui contratti a lungo termine, ora sostenuti dalla Commissione, che in precedenza aveva promosso (e visto approvare) il divieto di contratti oltre il 2049 nell’ambito del pacchetto gas riformato.
La Comunicazione promuove, seppur senza dettagli operativi, un modello “giapponese” per incentivare investimenti in infrastrutture di liquefazione nei paesi terzi. Un aspetto, tuttavia, è esplicitamente confermato: le nuove importazioni saranno limitate a fornitori non russi, in linea con la recente Roadmap per l’eliminazione delle forniture energetiche dalla Russia.
Anche l’energia nucleare, tema molto divisivo nel dibattito europeo, vive un ritorno al centro della scena. Il Clean Industrial Deal sostiene la creazione di una base industriale europea per i reattori modulari di piccola taglia (Smr) e prevede una Comunicazione dedicata nel 2026, eventualmente accompagnata da un quadro sugli aiuti di Stato per questa tecnologia. Si tratta di un’evoluzione significativa rispetto alla precedente cautela, che riflette un crescente riconoscimento del contributo del nucleare alla sicurezza energetica e alla decarbonizzazione. A vantaggio della tecnologia, inoltre, Il CID sottolinea che i PPA dovrebbero essere applicati in modo tecnologicamente neutrale, includendo anche le tecnologie nucleari, evidenziando così un approccio più inclusivo nella progettazione del mercato.
Obiettivi confermati: rinnovabili ed elettrificazione
Nonostante il cambio di prospettiva, il Clean Industrial Deal riafferma la centralità delle energie rinnovabili e dell’elettrificazione. Quest’ultima viene definita obiettivo strategico, con un nuovo target esplicitato: incrementare la quota dell’elettricità nei consumi finali dal 21,3% attuale al 32% entro il 2030. Anche se non è chiaro se tale target sarà giuridicamente vincolante, si prevede che misure quali il prossimo Piano d’Azione europeo sull’elettrificazione assieme all’Industrial Decarbonisation Accellerator Act (Idaa) forniranno un concreto sostegno operativo.
Il raggiungimento di tale obiettivo dipenderà in larga misura dalla risoluzione di uno dei principali colli di bottiglia della transizione energetica: le reti elettriche. La Commissione riconosce l’insufficienza delle infrastrutture esistenti e le lungaggini autorizzative.
A questo scopo, è in preparazione un EU Grids Package per modernizzare i quadri regolatori, aggiornare il regolamento sulle reti transeuropee (TEN-E) e mobilitare maggiori finanziamenti pubblici e privati. La Banca europea per gli investimenti (Bei) avrà un ruolo centrale, con un pacchetto dedicato alle infrastrutture di rete, volto a ridurre il rischio per gli investitori e accelerare i progetti. In parallelo, sono allo studio riforme alle metodologie tariffarie, probabilmente tramite linee guida agli Stati membri, con l’obiettivo di promuovere la flessibilità del sistema e limitare la necessità di investimenti nella rete tramite una gestione intelligente della domanda e lo sviluppo dello stoccaggio.
Investimenti pubblici e privati: abbinare l’ambizione al capitale
Tutte le misure delineate richiederanno un impegno finanziario di proporzioni considerevoli. Come evidenziato nel Grid action plan della Commissione Europea, il solo ammodernamento delle infrastrutture di rete elettrica comporterà investimenti per circa 584 miliardi di euro. Se a tali cifre si sommano i costi connessi alla decarbonizzazione del comparto industriale, al sostegno all’innovazione nelle tecnologie a basse emissioni e alla costruzione di nuove catene del valore, la dimensione della sfida si rivela in tutta la sua portata (Mario Draghi stima questo costo attorno agli 800 miliardi di euro annui).
In tale quadro, il Clean Industrial Deal propone la creazione di una Banca per la decarbonizzazione industriale, con la finalità di mobilitare – non di erogare in maniera diretta – circa 100 miliardi di euro a sostegno di progetti di transizione industriale, ispirandosi al modello operativo della Banca europea per l’idrogeno che assegna fondi mediante aste competitive.
In parallelo, la Commissione ha annunciato una revisione delle norme in materia di aiuti di Stato, oltre a nuovi bandi attivabili tramite il Fondo per l’innovazione. La misura che per il momento risulta più incisiva è di fatti rappresentata dalla recentemente pubblicato nuovo Quadro per gli aiuti di Stato all’industria pulita (Cisaf) (maggior dettaglio a seguire).
Due traiettorie sembrano profilarsi con chiarezza: da un lato, il ruolo sempre più rilevante della Banca europea per gli investimenti (Bei) nel ridurre il rischio associato agli investimenti privati mediante strumenti di controgaranzia e dall’altro, la tendenza ad operare una riallocazione delle risorse già disponibili nel bilancio dell’Unione, invece di attivare nuovi flussi finanziari. Una strategia improntata alla prudenza, alla luce dei negoziati ormai imminenti sul prossimo Multiannual Financial Framework (Mff), ma che solleva legittime preoccupazioni circa l’adeguatezza e la prevedibilità delle risorse disponibili nel medio-lungo termine.
Next Steps? Progettare la transizione per risultati concreti
Il Clean Industrial Deal costituisce un tassello strategico nell’ambito della rinnovata politica industriale europea. Tuttavia, appare improbabile che i suoi effetti si manifestino in modo tangibile nel breve periodo. Numerose imprese, in particolare nei comparti ad alta intensità energetica, continueranno a dover contare principalmente su strumenti nazionali di sostegno, quali incentivi fiscali, contributi diretti e misure di tutela della competitività.
Con l’obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi, soprattutto a vantaggio delle piccole e medie imprese, la Commissione ha affiancato al Clean Industrial Deal una serie di iniziative normative di semplificazione, note come pacchetti “Omnibus”. Tali interventi, pur contribuendo ad attenuare parte dei costi burocratici, rischiano di risultare insufficienti. Per guidare una transizione di tale ampiezza e complessità, sarà con ogni probabilità necessario un sostegno strutturale più incisivo, in grado di offrire certezze giuridiche e orizzonti di investimento di lungo periodo.
In prospettiva, al fine di garantire la competitività del tessuto produttivo europeo, la Commissione sembra orientarsi verso una strategia articolata su tre direttrici: implementazione della riforma del market design (Emd), accelerazione nello sviluppo delle fonti rinnovabili – in particolare attraverso la semplificazione dei processi autorizzativi, attualmente oggetto di lavoro da parte della DG ENER – e un ammodernamento infrastrutturale delle reti, pianificato con attenzione strategica, anche attraverso l’integrazione di strumenti di flessibilità e capacità di stoccaggio. In questo ambito, si rende imprescindibile un approccio che tenga conto delle specificità geografiche e dei vincoli tecnici delle diverse regioni europee, valorizzando soluzioni con filiere robuste e resilienti, come i sistemi di pompaggio idroelettrico, accanto allo stoccaggio elettrochimico.
Due elementi devono restare costanti lungo tutto il processo: una maggiore certezza giuridica e la disponibilità di risorse finanziarie adeguate.
Un percorso da seguire: traguardo climatico 2040 e certezza normativa
Al di là dei singoli strumenti, è opportuno ribadire l’obiettivo strategico che guida l’intera architettura della politica industriale europea: la decarbonizzazione dell’economia continentale. La Commissione UE, in linea con la Legge europea sul clima, ha recentemente pubblicato un nuovo target per il 2040 che consiste in un obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai livelli del 1990, accompagnato da alcuni strumenti di maggiore flessibilità quali l’uso dei crediti di carbonio internazionali. Rimane da vedere se l’attuale contesto politico, caratterizzato da incertezze e minore accettazione di misure percepite come vincolanti, renderà complesso il raggiungimento di un accordo.
Risulta tuttavia essenziale che le negoziazioni non compromettano la coerenza del percorso: un obiettivo giuridicamente vincolante resta indispensabile per orientare gli investimenti, in particolare verso tecnologie abilitanti come l’elettrificazione, i gas rinnovabili (biometano e idrogeno verde) e le relative infrastrutture. Le normative europee già approvate posizionano l’Unione su una traiettoria di riduzione dell’88% delle emissioni entro il 2040, ma sarà necessario integrare tali misure con strumenti aggiuntivi per colmare il divario residuo.
Il successo della transizione industriale dipenderà in misura determinante dalla disponibilità di risorse finanziarie adeguate, in grado di coprire sia i costi in conto capitale (Capex) sia le necessarie spese operative (Opex), fondamentali per garantire la sostenibilità economica e la competitività nel tempo delle tecnologie implementate.
Come già anticipato, tra gli strumenti di maggiore rilievo introdotti con il Clean Industrial Deal – figura il recentemente pubblicato nuovo Quadro sugli aiuti di Stato per l’industria pulita (Cisaf), il cui obiettivo dichiarato è di fornire maggiore chiarezza e certezza regolatoria agli Stati membri intenzionati a sostenere la transizione industriale. Ispirandosi al Temporary crisis and transition framework (Tctf), il Cisaf propone regole semplificate per gli investimenti in energie rinnovabili, incentivi alla produzione di tecnologie a basse emissioni e misure volte a rafforzare la resilienza delle filiere industriali europee.
Seguire il capitale: Cisaf, Banca per la decarbonizzazione e bilancio europeo
Tuttavia, il testo approvato presenta alcune riserve. Pur dichiarandosi tecnologicamente neutrale – un principio cardine del Clean Industrial Deal – il testo favorisce in realtà alcune tecnologie, in particolare l’elettrificazione, nonostante la versione finale sia più improntata alla neutralità tecnologica rispetto alla bozza posta in consultazione ad aprile. Inoltre, alcune condizioni di ammissibilità rischiano di entrare in tensione con la normativa europea già in vigore, in particolare con le disposizioni del pacchetto Fit-for-55, sollevando dubbi circa la coerenza e l’armonizzazione del quadro regolatorio.
Ulteriore elemento critico è rappresentato dall’esclusione, in molti casi, del sostegno agli Opex. Per i settori ad alta intensità energetica, dove il fabbisogno termico a media e alta temperatura costituisce una sfida rilevante, limitarsi a finanziare l’investimento iniziale potrebbe rivelarsi insufficiente a garantire la sostenibilità economica delle soluzioni adottate.
Il ricorso agli aiuti di Stato comporta, inoltre, un rischio sistemico: quello di accentuare le divergenze tra economie europee caratterizzate da margini di bilancio molto differenti. In questo contesto, assume un ruolo strategico la proposta per una Banca per la decarbonizzazione industriale, un’istituzione che potrebbe contribuire a una distribuzione più equa ed efficiente delle risorse, rafforzando la fiducia degli investitori e favorendo una maggiore coesione territoriale. Per svolgere efficacemente tale funzione, sarà essenziale che la Banca operi con sufficiente flessibilità tecnologica, ampia capacità finanziaria e con un mandato esplicito a sostenere tanto le spese in Capex quanto quelle in Opex, come sembrerebbe previsto dalla Commissione.
Infine, resta imprescindibile dotare l’Unione di un Quadro finanziario pluriennale (Qfp) all’altezza delle sfide, capace di fungere da volano per attrarre ulteriori capitali pubblici e privati. È evidente che le risorse pubbliche, da sole, non saranno sufficienti, rendendo necessaria una progressiva integrazione verso un’unione del capitale e del risparmio. Tuttavia, un impegno politico deciso e visibile da parte degli Stati membri rappresenterebbe un segnale imprescindibile della volontà collettiva di sostenere attivamente la transizione.
In conclusione, il passaggio dal Green Deal al Clean Industrial Deal non equivale a una rinuncia agli obiettivi climatici dell’Unione Europea, quanto piuttosto a una ricalibrazione delle politiche industriali in risposta a un contesto economico e geopolitico in rapida evoluzione. Per mantenere la rotta verso la neutralità climatica, l’Unione dovrà preservare le proprie ambizioni strategiche, rafforzare la certezza giuridica e garantire un sostegno finanziario mirato e consistente. La realtà è che, sebbene gli investimenti iniziali appaiano onerosi nel breve periodo, i benefici economici, industriali e ambientali che ne deriveranno nel medio-lungo termine saranno significativi per l’intero sistema europeo.
Valerio Dalla Torre, EU Policy Officer, Edison
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