L’Open innovation e la rendicontazione


Negli ultimi anni l’open innovation ha attraversato una transizione cruciale, passando da pratica pionieristica di poche grandi aziende a leva strategica diffusa per tante realtà. Seppur ancora meno esplorato dalle piccole e medie imprese, il paradigma dell’innovazione condivisa continua a calamitare progetti, conquistare proseliti e generare investimenti. L’aumento della pressione per la misurazione dell’impatto e il ritorno delle iniziative open lascia però presagire l’ennesimo esame di maturità all’orizzonte. Secondo l’Open Innovation Outlook 2025 elaborato da Mind the Bridge, dopo il picco del 2022 le iniziative corporate hanno vissuto un biennio di ridimensionamento e ripensamento. Le imprese hanno rivisto i portafogli di innovazione, selezionano con più rigore le partnership e chiedono risultati tangibili. Il quadro generale non è però solo difensivo: la capacità di resilienza del modello è rimasta elevata e il coinvolgimento di startup e partner dell’ecosistema ha continuato ad alimentare dinamiche virtuose.

Il rapporto evidenzia che l’open innovation non è più solo una sperimentazione, ma una pratica integrata nei processi aziendali, soprattutto nei settori a maggiore intensità tecnologica. Tuttavia, questa normalizzazione porta con sé una maggiore pressione per dimostrare il ritorno sugli investimenti. Il rischio, spiegano gli analisti, è che senza una rendicontazione adeguata i programmi di innovazione vengano messi in discussione dai board aziendali. O subiscano tagli in fasi di incertezza economica. Uno scenario che ha portato le imprese a razionalizzare gli investimenti e concentrare gli sforzi su iniziative più strutturate e ad alto potenziale di ritorno. L’evoluzione recente riguarda anche le modalità di collaborazione: si osserva una selezione più attenta dei partner e una riduzione delle iniziative spot, in favore di programmi strutturati e orientati a risultati concreti. Le grandi aziende più attive sono quelle in grado di creare ecosistemi duraturi, combinando venture clienting, accelerazione e partecipazioni dirette. Cresce inoltre l’interesse verso modelli ibridi, che uniscono componenti interne ed esterne all’organizzazione, e verso logiche di co-innovazione pubblico-privato. In questo contesto, la capacità di adattarsi alle trasformazioni normative e tecnologiche diventa un fattore critico di successo, spingendo le imprese a evolvere i propri modelli operativi.

In Europa, calcola l’Open Innovation Outlook 2025 di Sopra Steria, il 79% delle aziende ha adottato almeno una pratica di open innovation, ma solo il 27% dispone di una strategia formalizzata. Il 65% dichiara di non avere sistemi strutturati per misurare i risultati, pur riconoscendo l’innovazione aperta e condivisa come asset strategico. Il divario tra adozione e governance emerge come una delle criticità principali: le imprese rischiano di disperdere risorse senza un chiaro orientamento e di non riuscire a coinvolgere stakeholder esterni in modo credibile. La raccomandazione centrale è non a caso l’integrazione tra governance dell’innovazione e metriche di impatto, per orientare le scelte aziendali e rafforzare la credibilità interna ed esterna dei programmi avviati.

Grafico a cura di Silvano Di Meo 

Il report sottolinea inoltre che l’efficacia dell’open innovation dipende dalla capacità delle aziende di costruire un linguaggio comune con le startup, gli hub tecnologici e i centri di ricerca. Un salto di qualità che richiede una governance più solida, ma anche un’evoluzione culturale, capace di riconoscere e valorizzare competenze esterne. Una delle principali sfide condivise dai manager intervistati dagli analisti riguarda proprio l’allineamento tra cultura aziendale e approccio open. E in questo contesto la misurazione non è solo uno strumento gestionale ma una leva di trasparenza e attrattività.

Il tema della quantificazione dell’impatto come snodo critico emerge anche dall’Osservatorio Open Innovation Lookout 2025 del Politecnico di Milano. Il mercato italiano dei servizi professionali per l’open innovation ha toccato i 742 milioni di euro nel 2023, con oltre 500 provider attivi. Ma la crescita quantitativa non è accompagnata da una maturità valutativa: solo una minoranza delle imprese adotta strumenti condivisi per analizzare l’impatto delle attività. Misurare, spiegano i ricercatori, non è solo una questione di controllo: è fondamentale per guidare le strategie, rafforzare il dialogo con gli stakeholder, attrarre partner e capitali. La misurazione dell’open innovation dovrebbe considerare non solo output tangibili come numero di collaborazioni o brevetti, ma anche outcome come trasformazioni organizzative, reputazione, e sviluppo delle competenze.

Grafico a cura di Silvano Di Meo

Grafico a cura di Silvano Di Meo 

In questo scenario, la misurazione è chiamata dunque ad assumere un ruolo strategico. Le metriche devono aiutare a valutare i risultati in termini di efficacia, impatto sul business e coerenza con gli obiettivi di sostenibilità. Di conseguenza, l’approccio suggerito è integrare l’analisi dei dati in modo continuativo, per accompagnare l’evoluzione dell’ecosistema con una rendicontazione solida e trasparente. Un passaggio necessario, sottolinea lo studio, per evitare derive di corto respiro e consolidare la rilevanza dell’open innovation come leva sistemica.



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