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La UE manda in soffitta il green per aiutare l’industria delle armi


La UE da tempo nasconde dietro la narrazione della “conversione ecologica” una serie di misure che servono unicamente a rilanciare settori capitalistici in crisi e provare a farli entrare in una competizione in cui, ad ogni modo, la Cina è molto più avanti. Ma ora che con il piano Readiness 2030  l’economia di guerra si è sostituita al green, le preoccupazioni ambientali diventano addirittura un ostacolo.

Lunedì 12 maggio Thomas Regnier, portavoce della Commissione Europea, ha rilasciato una dichiarazione con la quale ha fatto presente che Bruxelles sta considerando la possibilità di allentare le norme ESG, ovvero i criteri ‘Environmental, Social, and Governance’, usati per valutare la sostenibilità verde degli investimenti. Una tendenza che era già stata sancita lo scorso febbraio.

A inizio anno, infatti, erano stati elaborati e poi varati due pacchetti Omnibus, finalizzati a semplificare le normative sulla reportistica di sostenibilità per aziende e istituti finanziari: il CSRD (Corporate Sustainability Reporting Directive), il CSDDD (Corporate Sustainability Due Diligence Directive) e la Tassonomia UE. La proposta della Commissione aveva già smantellato qualsiasi loro utilità.

In pratica, il CSRD verrà applicato soltanto alle aziende con più di mille dipendenti e almeno 50 milioni di fatturato – vengono escluse così circa l’80% delle imprese europee, fino a ieri erano soggette a obblighi di rendicontazione. Inoltre, la due diligence, ovvero l’indagine preliminare sull’impatto ambientale, sarà limitata solo ai fornitori diretti, escludendo gli operatori a monte e a valle della catena del valore.

Insomma, una tale riforma significa la garanzia di grandi margini per promuovere facili operazioni di greenwashing, mentre davvero poco verrebbe fatto per muoversi verso un’”economia verde”. Eppure, pare che il complesso militare-industriale europeo abbia trovato lo stesso di che lamentarsi, e che dunque la Commissione sia disposta a proporre ulteriori alleggerimenti sulle misure Omnibus.

Sembra che siano state in particolare le aziende produttrici di munizioni a evidenziare come le norme europee abbiano disincentivato gli investimenti privati e abbiano limitato la concessione di prestiti da parte delle banche. Questo perché, per quanto di facciata, le armi sono davvero in tutti i modi incompatibili con i criteri di sostenibilità ambientale, oltre che quelli etici.

Proprio per questo Regnier ha fatto presente che la Commissione Europea sta valutando “se l’accesso ai finanziamenti possa essere ulteriormente rafforzato, anche attraverso un adeguamento del quadro finanziario sostenibile“. Che tradotto, significa proprio lasciare maggiore spazio per le imprese della difesa per “una rapida crescita industriale in tutta Europa“.

In sintesi, per favorire l’economia di guerra, è bastato qualche mese perché la propaganda di una UE tutta lanciata sul green crollasse di fronte alle esigenze della competizione globale. Anzi, ora anche le armi diventano ‘verdi’, come già lo sono diventati il gas naturale e il nucleare: un segnale che a Bruxelles le stanno provando tutte per facilitare la deriva bellicista.

– © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO


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