Ricerca & Sviluppo, il dialogo interrotto tra università e imprese


di
Daniele Manca

I ricercatori italiani sono in grado di competere con i migliori a livello europeo. Ma l’industria farmaceutica italiana (prima per valore aggiunto e non solo in Europa) impiega in ricerca e sviluppo solo il 3,8% del fatturato, contro il 7,1% delle imprese francesi e il 14,8% delle tedesche

Accade spesso in Italia. Abbiamo tante eccellenze che non riescono a diventare sistema. Si pensi alle nostre università e alla ricerca. Come rivelato da Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del primo luglio, i ricercatori made in Italy competono con i migliori a livello europeo. Ma spesso preferiscono continuare le loro ricerche in altre strutture. Estere soprattutto. Dei 37 premi a ricercatori italiani distribuiti da Erc (il programma europeo che dal 2007 ha erogato oltre 30 miliardi) 25 sono rimasti in Italia: più o meno come in Germania dove su 47 premi 37 sono rimasti nel loro Paese. Ma sorprende il Regno Unito con 26 premi Erc a britannici e 56 ricerche effettuate nel Paese. Solo questione di università più propense a far ricerca? Sicuramente. Ma anche di un sistema Paese in grado di trasformare le idee in aziende. Quello che viene chiamato trasferimento tecnologico. In Italia abbiamo ottimi istituti che tengono vivo il rapporto tra imprese e ricerca. E università che naturalmente si pongono sulla frontiera tra studio e imprenditoria. Si pensi ai Politecnici. Ma provate voi a pronunciare la seguente frase nelle facoltà italiane: «identificare le potenzialità commerciali di una scoperta». Quanti senati accademici storcerebbero il naso? Quante sedi universitarie dispongono di un ufficio per il trasferimento tecnologico?

Investimenti

E ci verrebbe da dire: quante facoltà umanistiche si stanno ponendo il tema di affrontare il tema dell’intelligenza artificiale in modo non solo filosofico ed etico ma attraverso competenze trasversali? È chiaro che anche le aziende devono fare la loro parte. Secondo uno studio di The European Ambrosetti House, l’industria farmaceutica italiana (prima per valore aggiunto e non solo in Europa) impiega in ricerca e sviluppo solo il 3,8% del fatturato, contro il 7,1% francese e il 14,8% tedesco. Spetta alla politica tornare a far discutere il Paese di competitività e sistema integrato. O avremo perso di nuovo il treno dell’innovazione. E non certo per colpa dell’Europa o di qualche altro capro espiatorio fuori dai nostri confini.
@daniele_manca




















































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7 luglio 2025 ( modifica il 7 luglio 2025 | 07:28)



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