Trump all’Ue: “Dazi al 30% dal 1 agosto”. Von der Leyen: “Pronti a contromisure, tratteremo”


Letterina shock per la Ue: Donald Trump ha minacciato dazi al 30% sull’export europeo dal primo agosto, avvisando che nel caso di un’eventuale risposta ritorsiva è pronto ad aumentarli della stessa percentuale. Ma il presidente americano lascia anche aperto uno spiraglio di trattativa, ipotizzando modifiche se – si rivolge a Ursula von der Leyen – “desiderate aprire i vostri mercati commerciali, finora chiusi, agli stati uniti ed eliminare le vostre politiche tariffarie e non tariffarie e le barriere commerciali”. Stesso trattamento per il Messico, diventato il principale partner commerciale degli Usa: tariffe al 30%, comunque meno del 35% preannunciato per il Canada, nonostante il menzionato traffico di Fentanyl sia ben superiore al confine sud. 

La risposta europea

Immediata la reazione della presidente della Commissione europea, che si è detta “pronta a continuare a lavorare per un accordo entro il primo agosto”, ma avvisando che allo stesso tempo l’Ue adotterà “tutte le misure necessarie” per salvaguardare i propri interessi, “inclusa l’adozione di contromisure proporzionate, se necessario”. Von der Leyen ha anche ammonito che i dazi al 30% “interromperebbero le essenziali catene di approvvigionamento transatlantiche, a scapito di imprese, consumatori e pazienti su entrambe le sponde dell’atlantico”. “Pieno sostegno” agli sforzi della commissione europea nelle trattative da palazzo Chigi, che auspica “un accordo equo, che possa rafforzare l’occidente nel suo complesso, atteso che – particolarmente nello scenario attuale – non avrebbe alcun senso innescare uno scontro commerciale tra le due sponde dell’atlantico”. 

Le altre reazioni

Anche il Messico ha criticato la minaccia di dazi così alti, definendola un “trattamento ingiusto”. Alla Ue, preavvisata della lettera, Trump ha contestato il divario del deficit commerciale dovuto a barriere commerciali, tariffarie e non tariffarie, definendolo “una grave minaccia per la nostra economia e, di fatto, per la nostra sicurezza nazionale”. Al Messico ha rimproverato pure il traffico di droga, riconoscendo che il paese lo ha “aiutato a rendere sicuro il confine ma ciò che ha fatto non è abbastanza. Il Messico non ha ancora fermato i cartelli che stanno cercando di trasformare tutto il nord America in un parco giochi del narco-traffico”. 

Proprio venerdì la presidente messicana claudia Sheinbaum aveva criticato la “mancanza di coerenza” dell’amministrazione usa, che dichiara i cartelli organizzazioni terroristiche straniere ma poi sigla accordi di patteggiamento con i loro leader, come appena successo con uno dei figli de El Chapo. 

Per Bruxelles è una vera doccia fredda, che arriva dopo mesi di negoziati e frequenti telefonate fra Trump e von der Leyen. Nei giorni scorsi inoltre il tycoon sembrava aver cambiato tono con la Ue, affermando che recentemente l’Europa stava trattando bene gli Usa, passando da una posizione “molto dura” a una “molto gentile”. La percentuale tariffaria minacciata invece è ben al di sopra di quella al 10% che ci si aspettava, anche se diverse fonti UE ritengono che quella del tycoon sia la sua consueta tattica negoziale. 

Questa settimana Trump ha inviato lettere simili ad altri 23 partner commerciali, tra cui Brasile, Giappone e Corea del sud, stabilendo dal primo agosto dazi generalizzati che vanno dal 20% al 50%, oltre a una tariffa del 50% sul rame. Ma già comincia a vedere i frutti dei primi mesi di dazi, almeno dal suo punto di vista. La riscossione delle tariffe doganali usa e’ nuovamente aumentata a giugno, superando per la prima volta in un anno fiscale i 100 miliardi di dollari e contribuendo a generare un sorprendente surplus di bilancio di 27 miliardi di dollari per quel mese. I dazi doganali sono diventati la quarta maggiore fonte di entrate per il governo federale: nel giro di circa quattro mesi la loro quota è più che raddoppiata, passando dal 2% al 5% circa. Restano da vedere però, oltre alla reazione delle borse lunedì, i temuti rincari sui consumi interni e gli effetti sull’inflazione: incognite che finora hanno spinto la Fed a non tagliare il costo del denaro, come vorrebbe il presidente. 



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